(Jordi Llisterri-CR) “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti”. È il testo dell’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che ha aperto la presentazione del libro “La lotta per la libertà religiosa e di coscienza” (titolo originale “La lluita per la llibertat religiosa i de consciència”) scritto da Eduard Ibáñez e pubblicato da Claret. Durante l’evento nella Sala Pere Casaldàliga il claretiano Màxim Muñoz ha sottolineato che questo articolo “va letto tutto”, senza dimenticarne alcuna parte: “Non si tratta solo di tollerare l’ambito religioso ma di proteggerlo”. Un’idea che caratterizza tutto il libro di Ibàñez, laureato in diritto, direttore di Justicia i Pau di Barcellona e presidente della Fondazione Catalunya Religió. In un colloquio con la giornalista Gloria Barrete, l’autore ha spiegato che “servono politiche attive di protezione e questo riguarda l’apertura di luoghi di culto, l’educazione, i mezzi di comunicazione”. Il libro propone un cambio di prospettiva che sia “fondata sulla libertà religiosa, non sulla laicità”. Per questo, “la laicità intesa correttamente deve proteggere la libertà religiosa” e deve permettere che l’esercizio di questo diritto “sia effettivo e reale”.
Il libro propone due principi che devono reggere la relazione tra Stato e confessioni religiose. Il primo è l’autonomia di ciascuna sfera malgrado “nella storia abbiamo visto di tutto”, sia governi che hanno utilizzato la religione, sia religioni che hanno preteso di dominare i governi. Ma questa autonomia non passa attraverso l’”ignorarsi l’un l’altro”. “Senza collaborazione non si può garantire la libertà religiosa” e questo significa riconoscere l’apporto culturale, sociale e di coesione delle religioni. Inoltre, non si può “ridurre la religione a un fatto privato” o “confonderla con le sue patologie”. Ibàñez ha ricordato che la libertà religiosa “è uno dei diritti umani più violati e calpestati al mondo”, che colpisce il 61% della popolazione. Malgrado ciò, non ha la grande risonanza mediatica di altri tipi di discriminazione, nonostante autentiche atrocità e cifre che “fanno drizzare i capelli”.
L’analisi di Ibàñez è che “in Spagna ci muoviamo tra due estremi: un nazionalismo escludente contro religioni minoritarie che viene reso visibile dall’ascesa dell’estrema destra e un laicismo aggressivo che vuole rimuovere la religione dallo scenario pubblico”. Ritiene che anche in Catalogna “soffriamo una situazione di laicismo preoccupante” ma allo stesso tempo è una società con "un'apertura e un dialogo tra le confessioni" molto importanti. Infine, secondo Ibáñez, tutto passa per riconoscere un insieme di ovvietà, perché "la fede è un atto relazionale e comunitario" e quindi è impossibile parlare di libertà religiosa senza garantirne la proiezione pubblica. Una serie di ovvietà spiegate chiaramente in un libro di grande attualità.